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1977-1990:
Bandiere rosse nel parco


Cantiere a Villa Massoni




Per tredici estati il Partito Comunista di Massa organizzò all'interno del parco di una villa secentesca una Festa dell'Unità di proporzioni considerevoli, con un'offerta culturale a tutto tondo e un grandissimo successo di pubblico. A distanza di trent'anni sembra un miracolo.
Il ricordo di Ivan Carozzi e un'intervista all'ex assessore alla cultura Franco Peselli.



La Festa de l’Unità comunale di Massa, che ebbe luogo ogni estate a Villa Massoni tra il 1977 e il 1990, fu un’opera d’arte collettiva, che coinvolse ogni anno centinaia di persone. Nell’agosto 1977 avevo cinque anni e abitavo a pochi passi dal parco della Villa. Per qualche stagione mio nonno lavorò nelle cucine della festa. Mio nonno, che oggi ha 96 anni, teneva i rapporti con i fornitori di pesce. Così ricorda mia mamma. Intorno ai 14 o 15 anni, nella seconda metà degli anni Ottanta, all’epoca in cui segretario nazionale del PCI era Alessandro Natta, io stesso cominciai a dare una mano presso lo stand dei Giovani Comunisti. Il segretario della FGCI allora era Pietro Folena (poi lo fu Gianni Cuperlo). Lo stand era situato sopra uno dei terrazzamenti intorno al parco. La posizione decentrata, marginale, distante dalle principali attrazioni e dall’area dibattiti, era speculare al tipo di nicchia che le organizzazioni giovanili di solito andavano a occupare all’interno delle gerarchie dei grandi partiti. Ricordo il suono provocato dal fusto d’acciaio per la birra mentre rotolava sugli assi di legno. Ricordo la pellicola di cellophane stesa sopra ai banconi e tenuta ferma con puntine di plastica gialle, bianche, rosse o verdi. Ricordo lo scatto brusco con cui si apriva il cassetto del registratore di cassa. Ricordo il refrigerio e il cambio di temperatura entrando nelle vecchie stalle ridipinte dove si tenevano le mostre di fotografia o di pittura. Ricordo il tonfo sotto le scarpe calpestando la terra. Ricordo il materiale di propaganda distribuito dalla FGCI ed esposto nello stand: i manifesti, le spille, i volantini, le magliettine antirazziste “Nero e non solo”. Ricordo il segno grafico usato per la pubblicistica. L’occhio registrava ogni variazione di stile, interpretando un cambio di segno o un colore nuovo come il sintomo di una diversa sensibilità e di un nuovo indirizzo politico cresciuto in seno al Partito e tra i giovani del Partito. Ricordo l’automaticità istintiva con la quale anche tra quattordicenni ci si divideva tra personalità più radicali o più conservatrici e allineate. Fine anni Ottanta. Il paradosso di un Partito Comunista aperto e vivace, mentre il comunismo realizzato agonizzava. Alle spalle dello stand c’erano solo cespugli e rovi, ma in basso si stendevano altre terrazze, tutte tosate e ripulite dalle erbacce. Grazie ai gradini di legno si scendeva verso la piana centrale, che a me sembrava molto grande, una prateria. Ogni anno la festa era preceduta da un’atmosfera di vigilia, da una grande attesa collettiva, tra noi bambini, nelle famiglie, fra gli adolescenti. Era l’evento culminante dell’estate. O di fine estate. Partecipavano migliaia di persone. Tutta la città. A questa considerevole opera collettiva, di massa, coordinata dalle burocrazie locali, lavoravano militanti e simpatizzanti di diversa estrazione: pensionati, operai, artigiani, studenti, insegnanti. Ricordo un amico di mio nonno, conosciuto con il soprannome «Puntina», zigzagare con una rumorosa apecar da un punto all’altro di una piana. Ricordo il velo di polvere sulle staccionate di legno e il passaggio da un punto all’altra della festa come un transito tra sfere diverse: la stalla restaurata, negli occhi e nei nervi puliti di un bambino, era un mondo a sé; la pista del ballo liscio era un mondo a sé; lo stand della Tecnica - dove venivano allestite mostre sui temi del lavoro, della scienza e dell’industria - era un altro mondo a sé. In mezzo ampie fasce di terra spelacchiata ed esposta alla luce del sole. O il folto dei cespugli.

In alto e distanti ci guardavano le finestre della villa secentesca dall’intonaco rosso e scolorito che veniva giù a pezzi dalle pareti. Era un edificio inaccessibile, che vedevamo solo a tratti, circondato da una cintura di alberi che con le loro chiome frondose oscuravano la facciata e la proteggevano nell’ombra. La Villa Massoni aveva il fascino di quei vecchi film horror anni Cinquanta, dove negli angoli delle stanze luccicano delle ragnatele finte e i corridoi sono attraversati di notte da una donna con un candelabro in mano. In effetti l’ultimo atto della storia di Villa Massoni è un omicidio. Il primo novembre 2017, uno degli eredi della proprietà, Marco Casonato, 63 anni, ex docente universitario di psicologia alla Bicocca di Milano, uccide Pietro, il fratello di 59 anni, medico, schiacciandolo con l'auto al termine di una lite per questioni legate ai destini della Villa.

Dall’epoca dell’ultima Festa, tre decadi fa, gli otto ettari della Villa Massoni sono stati abbandonati all’incuria e sono rimasti spudoratamente indisponibili alla vita della comunità, mentre la villa scandalosamente cade a pezzi. Una vergogna assoluta. Per poter gettare un’occhiata sulle condizioni in cui si trovano oggi il parco e la villa occorre salire lungo la strada che porta verso il Castello Malaspina e poi dall’alto provare a vedere che cosa è successo. Non esiste più il paesaggio definito e geometrico che l’attività annuale della Festa aveva garantito, grazie al lavoro di chi a ogni stagione ripuliva le piane, i terrazzamenti e rendeva fruibili e praticabili il percorso e i collegamenti da un’area all’altra. Oggi tutto lo spazio è infestato da una massa informe di rovi e cespugli, mentre la villa è ancora più nascosta allo sguardo, definitivamente calata nel suo vecchio ruolo di luogo enigmatico. Si può solo immaginare a che punto possano essere arrivati la disgregazione e la marcescenza causati dall’abbandono.

Va reso atto agli uomini e alle donne del Partito Comunista di aver interpretato nel migliore dei modi la missione del Partito e quindi di aver restituito una vita aperta e democratica a uno spazio privato e semiabbandonato, e di averlo trasformato in un luogo di socialità e cultura, per tredici estati consecutive. È stato l’ultimo grande evento popolare, l’ultima reale esperienza collettiva realizzata nel territorio del Comune di Massa. Un’opera d’arte alla quale hanno lavorato centinaia di persone, iscritte o simpatizzanti di una grande struttura partitica. È accaduto prima che i partiti venissero fatti a pezzi e la memoria del PCI venisse scientificamente infangata dal lavoro controegemonico e diffamatorio di una nuova destra nata in Italia negli anni Novanta, che, col senno di poi, appare come il laboratorio su scala globale del populismo degli anni a venire.

Tra quei giovani comunisti c'era anche Franco Peselli, che in seguito avrà una lunga carriera politica diventando membro della segreteria del PCI a Massa, Carrara e Montignoso, membro della segreteria del PDS e assessore provinciale alla Cultura dal 1994 al 2003. Da qualche tempo Franco ha aperto una pagina Facebook (↬ LINK), dove carica quotidianamente decine di foto scattate durante le feste a Villa Massoni, tra il 1977 e il 1983. Gli ho chiesto di raccontarmi la storia di questa vicenda.



IVAN CAROZZI: Com'è nata la Festa dell'Unità a Villa Massoni?

FRANCO PESELLI: Nel 1976 avevo 20 anni, ero un dirigente della FGCI e ricoprivo la carica di membro della segreteria provinciale della federazione. Dopo la vittoria alle amministrative del ‘75, conquistammo per la prima volta la guida della città di Massa e Silvio Tongiani, segretario comunale del PCI, fu eletto Sindaco con voto del Consiglio comunale. Dopo le prime due Feste dell’Unità comunali sul Monte di Pasta, nel 1975 e 1976, il Partito immaginò il parco di Villa Massoni quale sede più ampia per la propria festa. Dopo l’elezione di Tongiani la guida del Partito fu assegnata a Marino Lippi, operaio del Nuovo pignone di Massa, membro del Consiglio di Fabbrica e dirigente sindacale. Fu la segreteria Lippi a verificare la fattibilità di una festa a Villa Massoni. Avevamo il progetto di far riscoprire alla città un luogo di cui poco si conosceva, un po’ avvolto nel mistero: la Villa e le sue terrazze seminascoste dalla vegetazione. Si trattava, anzitutto, di sondare la disponibilità della proprietà a concedere in affitto il parco. In quel tempo la Villa, dopo la scomparsa di Giovanna Massoni nel 1975, era stata ereditata dal marito, Giovanni Maria Casonato, padre di Piero e Marco. Nino Bocci, allora primario di otorinolaringoiatra dell’Ospedale di Massa, dirigente PCI e capogruppo consiliare, per motivi professionali conosceva bene il medico, Piero. Perciò fu Nino a portare avanti la trattativa.




1980. Chiacchiere notturne sotto le bandiere PCI




I.C.: E come andò a finire?

F.P.: I Casonato non erano certo vicini al PCI e temevano che la festa avrebbe potuto danneggiare l’area della villa. Non fu una trattativa semplice e tuttavia andò in porto. Nella primavera del ‘77 un gruppo di compagni, come un’avanguardia di pionieri, entrò finalmente nel Parco di Villa Massoni.


I.C.: In che condizioni era il parco?

F.P.: Una foresta inestricabile di alberi secolari, arbusti, edere gigantesche, rovi dalla circonferenza impressionante… La prima parte centrale del parco, con il viale d’accesso che saliva fino alla Villa, era abbastanza sgombra. Occorreva pulire tutto e poi realizzare quelle piccole opere, come gli scalini e le staccionate, che avrebbero consentito l’accesso in sicurezza dei visitatori. La seconda piana era tutta da sistemare, con il taglio delle edere, dei cespugli e dei rovi. La terza piana, che poi diventerà il secondo ingresso, lì dove si trovava la pizzeria, fu recuperata solo l’anno successivo. Stesso discorso vale per la parte del parco a ridosso delle terrazze, piena di rifiuti abbandonati, pietraie, serpenti, ratti. Il primo anno fu messo a punto solo un percorso per consentire il passaggio dei cavi di corrente che illuminarono, per la prima volta, le splendide terrazze. Quando l’interruttore diede luce fu uno spettacolo indimenticabile e la città scoprì un gioiello che aveva sempre posseduto.




1981. La piana centrale della villa, di volta in volta sede di concerti o attività sportive.




I.C.: In che periodo si teneva la festa?

F.P.: A fine estate, normalmente dopo il 20 agosto fino al 10/12 settembre, e di solito si concludeva di lunedì, in modo da terminare tutte le scorte ed evitare sprechi. Il giorno dopo ci si ritrovava per una cena finale, preparata con le rimanenze della dispensa, insieme alle compagne e ai compagni che avevano lavorato alla Festa. Era un momento di convivialità. Si mangiava, si discuteva, si scherzava, si ballava fino a tardi. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre la stagione turistica iniziava a calare, perciò la Festa dell’Unità non interferiva più di tanto con la ristorazione sulla costa, inoltre in quel momento erano già terminate tutte le feste de L’Unità di quartiere e ciò garantiva non solo il recupero da più sezioni del materiale necessario all’allestimento, ma anche la partecipazione piena di tanti compagni. Gran parte di loro lavorava alla Festa comunale dopo aver allestito, gestito e smontato una festa di circoscrizione.


I.C.: Quanto tempo occorreva per la preparazione?

F.P.: La pulizia del parco e il montaggio iniziavano ad aprile, lo smontaggio e la messa in sicurezza del materiale terminavano a novembre. L’attività più intensa era svolta nel mese di luglio/agosto, periodo in cui i compagni e le compagne utilizzavano le ferie per dare una mano. Senza questo spirito e questo affetto, senza il sacrificio e l’impegno disinteressato, senza il lavoro gratuito dei e delle militanti, la Festa non sarebbe stata possibile.




1978. L’allestimento dello stand ristorante.




I.C.: Quante erano queste persone che lavoravano alla festa?

F.P.: Nella prima fase, aprile-maggio-giugno, si trattava di un numero limitato, poi con le ferie estive il numero s’ingrossava fino a diventare di centinaia nella fase finale di costruzione degli stand. Per la gestione e la vigilanza erano impegnati circa 300 compagni e compagne.



1982. Le cucine.




I.C.: Chi erano i lavoratori della Festa de L’Unità?

F.P.: Il montaggio spettava agli operai, avendo maggiore dimestichezza con i materiali, ma anche agli artisti che si occupavano della cartellonistica. Non mancavano i giovani e i pensionati. La gestione vedeva una presenza massiccia di compagne, impegnate nelle cucine e nei vari stand. Comunque i compagni impegnati nelle varie fasi provenivano da svariati strati sociali, con prevalenza di operai e artigiani, ma non mancavano intellettuali, docenti e ceto medio. Non partecipavano solo gli iscritti e i militanti, ma anche moltissimi simpatizzanti. Insomma, una comunità straordinaria.


I.C.: Quali erano le sezioni locali più generose in termini di iscritti che finivano per partecipare alla festa?

F.P.: Nel corso degli anni ci fu una certa “specializzazione” delle sezioni sulla base anche delle attitudini territoriali. Ad esempio le sezioni della montagna, di paesi come Antona, Pariana e San Carlo, gestirono lo stand dove vendevano le frittelle di farina di castagne e i famosi «bollenti», sempre di farina di castagne. Qui è doverosa una parentesi gastronomico-culturale: com’è noto la farina di castagne viene prodotta nelle nostre montagne utilizzando ancora gli antichi «seccatoi», due stanze in pietra separate da un «canniccio», cioè un solaio, formato da bastoni di castagno assemblati come una specie di griglia che lascia passare il calore e il fumo del fuoco acceso al piano inferiore, per essiccare le castagne che si mettono al piano superiore. Una volta essiccate e pulite, le castagne vengono portate al mulino per farne la farina. Ovviamente si tratta di un’operazione che si compie nel mese di novembre, finita la raccolta, l’essiccatura e la macina, pertanto i compagni si preoccupavano di conservare la farina fino all’estate. Lo stand della montagna era preso d’assalto, proprio perché i visitatori potevano avere il piacere di gustare in estate un prodotto autunnale molto apprezzato come il «bollento». Poi c’erano lo stand del vino di Candia e quello della torta di riso. Il vino bianco di Candia è un particolare vermentino prodotto nelle colline di Mirteto e Romagnano, da non molto diventato DOCG e commercializzato da alcuni produttori riuniti in consorzio. È un vino soprattutto da meditazione, che si accompagna molto bene ai dolci, in particolare con la torta di riso, antichissima ricetta massese e oggetto di un vero e proprio scontro «ideologico». Ogni famiglia ha la propria ricetta ed è convinta di fare la vera torta di riso massese. Tuttavia le migliori torte di riso sono, comunque, prodotte nelle località alla destra del fiume Frigido, e indubbiamente nella zona di Mirteto. Questa combinazione di sapori, di culture e tradizione consentiva alla sezione di Mirteto di allestire uno stand dove si potevano gustare vino di Candia e Torta di riso.




1982. Lo stand della montagna.




I.C.: Chi lavorava nel ristorante centrale?

F.P.: Il Ristorante centrale era gestito dalle sezioni di Quercioli, Largo Viale Roma, Marina di Massa, Castagnola. Anche qui si cucinavano prodotti tipici locali, come i famosi tordelli massesi.


I.C: Ho un ricordo mitologico della pizzeria, come di un luogo sempre affollato e in qualche modo speciale…

F.P.: La pizzeria merita un discorso a parte, perché fu un’esperienza molto originale. Nelle feste de L’Unità nei vari paesi del comprensorio non esisteva la pizzeria, anche perché era necessario dotarsi di un forno per la cottura a legna. Il primo esperimento di successo fu fatto in occasione della festa presso il Monte di Pasta. Nel caso della Festa a Villa Massoni, dopo che la terza piana venne ripulita dai rovi, furono costruiti, incavati nel poggio, tre forni prefabbricati che potevano contenere 6/7 pizze ciascuno, di cui uno dedicato alle focacce. Fu allestita una vera e propria pizzeria in grado di sfornare, nel tempo limitato di apertura, circa 400 tra pizze e focacce. Alcuni compagni si specializzarono e divennero ottimi pizzaioli.


I.C.: Quali erano le professionalità coinvolte?

F.P.: C’erano compagni indispensabili, senza i quali la festa non si sarebbe fatta. Penso all’artigiano elettricista che si occupava di portare l’energia elettrica. Lavorava in coppia con un altro compagno. Si trattava di un compito delicato e complesso. La festa era una piccola cittadella, con le sue luci, i fari, i suoi percorsi illuminati, ogni stand aveva bisogno di illuminazione e di forza elettrica per friggitrici, forni ecc. Penso al compagno artigiano idraulico, che assieme ad altri si occupava di portare l’acqua in ogni stand, e curava gli scarichi, i lavandini ecc. Penso a un compagno cantoniere che da solo ha realizzato tutte le splendide staccionate che rendevano sicura la festa e tutti i vari scalini che consentivano di salire i dislivelli: opere di straordinaria bellezza. I compagni carpentieri in legno e in ferro, che si occupavano del montaggio degli stand, delle pavimentazioni in tavole edilizie, delle torri e dei tralicci d’illuminazione. Penso agli straordinari artisti (tra gli altri: Vito Tongiani, Mauro Griotti, Mario Ginocchi, Ndr), alcuni anche di fama internazionale e nazionale, che si occupavano della cartellonistica e dell’abbellimento scenografico della Festa, opere tutte fatte a mano, dalla preparazione dei cartelloni alla pittura. Ai compagni che si occupavano delle mostre e delle parole d’ordine da veicolare nella festa, a quelli che organizzavano gli spettacoli e le iniziative sportive e ricreative, i cineforum, i dibattiti. Ognuno era coinvolto sulla base delle proprie sensibilità e specializzazioni, molti acquisirono competenze e conoscenze facendo pratica proprio in quel contesto. La gestione dei vari stand necessitava del contributo di tutti e tutte e ognuno e ognuna cercava di dare una mano, in base al tempo e alle attitudini. C’era poi chi si occupava degli approvvigionamenti. La mattina era un via vai di furgoncini. Ogni notte, inoltre, sulla base di un calendario concertato con le sezioni, almeno 10 compagni dovevano assicurare la vigilanza fino all’arrivo del turno di mattina, cioè quelli che si occupavano dell’approvvigionamento e del magazzino. Passione, impegno, senso di responsabilità collettivo. La festa era una grande comunità fatta delle tante varie comunità che singolarmente gestivano gli stand. Così si crearono ulteriori rapporti di amicizia e di fratellanza, che andarono oltre il Partito.




1979. Arnaldo Zucchini fu una delle figure più note della Festa de L’Unità di Villa Massoni. Gestiva la lotteria e per attirare i visitatori scandiva nel microfono un richiamo caratteristico, che faceva: «Lu-Lu-Lu-Lu».




I.C.: Quanti erano i visitatori?

F.P.: Non è semplice rispondere, comunque ogni sera erano presenti migliaia di persone, soprattutto il fine settimana. La domenica la Festa era frequentata fin dal pomeriggio, mentre il sabato le serate erano partecipate fino a oltre la mezzanotte. Nei giorni di maggior affluenza il ristorante centrale faceva circa 800 coperti e la pizzeria circa 400. A partire dal 1982 la Festa fu raddoppiata, grazie alla creazione di altri due grandi ristoranti e di una seconda pizzeria. I grandi spettacoli a pagamento che inauguravano la festa portavano circa 10.000 persone, tutte nella piana centrale. Questi calcoli mi spingono a dire che il numero di visitatori per edizione poteva aggirarsi intorno alle 50.000 persone. Resta il fatto che fare una stima oggi è difficile.




1977. All’ingresso della Festa un gruppo di volontari accoglieva i visitatori appiccicando su giacche, magliette e camicie un piccolo adesivo con il simbolo del PCI. Era il cosiddetto «servizio coccarde». Col senno di poi lo si può interpretare come un’azione di marketing politico, ma forse all’epoca era più un rituale di benvenuto, che segnava l’inizio di un’esperienza.





1983. La festa di notte.




1982. Il concerto di Antonello Venditti alla Festa de L’Unità di Villa Massoni.




I.C.: Chi era il pubblico della Festa de L'Unità?

F.P.: La Festa era la festa della città e tutta la città partecipava. Moltissimi arrivavano da Carrara, La Spezia, Montignoso e dalla Versilia. Non tutti ovviamente erano militanti o elettori del PCI. Venivano un po’ tutti, indipendentemente dall’orientamento politico. Credo che siano pochissimi i massesi che non hanno messo piede alla Festa. Anche dal punto di vista della composizione sociale e anagrafica la partecipazione era eterogenea: operai, studenti, artigiani, commercianti, liberi professionisti, imprenditori, ceto medio, giovani e anziani.




Massimo D’Alema, Anna Annunziata, Roberto Bertelloni e Fabio Evangelisti.




I luoghi della città che all’epoca erano frequentati dai ragazzi si spopolavano di colpo. I giovani si trasferivano in massa alla Festa de L’Unità. E così le famiglie. Era la festa della città, senza che la Festa de L’Unità smarrisse la sua funzione politico-culturale. Furono diverse le proposte di allestire un proprio stand da parte di privati, ma si decise di non accettare l’offerta per non trasformare la Festa in un supermercato. La Festa rimase un luogo politico-culturale.




1983. Lo stand dei libri.




1978. Il critico letterario Alberto Asor Rosa.




1983. La mostra «Classe operaia, scienza e lavoro» allestita presso lo stand della Tecnica.




I.C.: Che cosa andava a finanziare l'incasso?

F.P.: Le Feste de L’unità servivano essenzialmente per finanziare il Partito, l’attività politica, le spese di mantenimento delle sedi e quelle per il quotidiano L’Unità e la stampa comunista. L’allestimento della Festa di Villa Massoni era molto costoso. I materiali di costruzione, in parte reperiti dai compagni artigiani edili, dovevano ogni anno essere implementati, con un certo sforzo finanziario. Fu fatto un vero e proprio piano d’investimento per acquistare strutture nuove, come le grandi vele e i capannoni in acciaio e PVC che coprivano i ristoranti, stand di più facile montaggio, tavoloni per le pavimentazioni, tavoli per la pizzeria e ristorante di facile smontaggio. Il modello del tavolo, tipo birreria con le gambe reclinabili, fu inventato a Villa Massoni. Purtroppo non lo brevettammo. Tutti questi materiali, stivati all’interno della grande cucina che al termine della festa diventava il magazzino centrale, erano utilizzati per l’allestimento delle feste rionali e prestati anche ai compagni di Carrara, per fare poi ritorno ad agosto.




1978. Le gare podistiche.




1978. Il ping pong.




1977. Il motocross.




I.C.: Quanto contò il successo della festa di Villa Massoni in termini di radicamento ed egemonia culturale del Partito su scala locale?

F.P.: Il nostro era un messaggio semplice e potente, perché rivelava, prima ancora delle parole d’ordine e della propaganda, la capacità organizzativa del Partito, il suo spirito di servizio e il lavoro disinteressato verso la città. Villa Massoni fu una scelta azzeccata, perché mostrò plasticamente l’amore che il Partito seppe nutrire nei confronti di un bene culturale e architettonico finito nell’oblio, riscoprendolo e consegnandolo ai cittadini. La Villa Massoni aveva affascinato la città, l’aveva conquistata. Ricordo che organizzai, nelle ex stalle, una mostra sulla storia di Villa Massoni, poco conosciuta dalla stragrande maggioranza dei cittadini. La mostra fu molto frequentata, la gente, il popolo, era curioso di scoprire il passato di quel luogo. La location giocò, dunque, un ruolo decisivo, fratturando quel diaframma che ancora divideva una città tradizionalmente bianca dai comunisti. Frequentandoci, la città scoprì un mondo, una cultura, persone in carne e ossa, insomma una comunità alla quale aveva sempre guardato con un certo sospetto. Al contrario, quando si supera la diffidenza si è più disponibili al confronto, a misurarsi con istanze e programmi politici determinati, non più visti come propaganda, bensì come posizioni dalle quali si può dissentire, ma con le quali ci si può confrontare. Questo nuovo quadro di rapporti si realizzava non solo nel contesto dei dibattiti, molto partecipati ma sempre un po’ formali, ma capitava in modo diffuso all’interno della festa, magari tra un piatto di tordelli e un bicchiere di Candia. La discussione era allargata e spaziava su più temi: in modo frammentario ma continuo, le persone si confrontavano e socializzavano. Poi c’era l’esempio dei militanti che di là dal banco magari offrivano un bicchiere di vino a un amico, pagandolo di tasca propria, come a dire: io sono qui al lavoro, ma lo faccio non per vantaggio personale, bensì per finanziare il mio partito; questo tipo di comportamenti rivestivano un significato esemplare, lasciavano una forte impressione e giocavano un ruolo fondamentale nell’accrescere la forza e il prestigio dei comunisti, soprattutto fra le nuove generazioni. La Festa, più di qualsiasi altra iniziativa politica, contribuì a far conoscere il punto di vista dei comunisti, non solo sulle problematiche della città, ma su temi di politica nazionale e internazionale, in una fase in cui l’informazione e la tv erano controllati dai partiti di maggioranza e dagli interessi padronali. L’alternativa comunista si esprimeva anche in altre forme, come la diffusione domenicale de L’Unità, iniziative politiche di varia natura, i comizi nei paesi, il volantinaggio, le manifestazioni. Ma mentre questo genere d’iniziative erano percepite come mera propaganda, la Festa invece, grazie al suo carattere di intrattenimento e convivialità, facilitava la diluizione del messaggio politico in tante circostanze e occasioni sociali diverse. Mostre, concerti, spettacoli, perfino la musica lirica, la libreria, la gastronomia, la cucina tipica. La cultura, come scrisse Gramsci nei suoi Quaderni del Carcere, «[…] non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri». La Festa contribuì a far acquisire, anzitutto a noi militanti, quella «coscienza di sé e del tutto» di cui parlava Gramsci.




1982. Concerto di musica tradizionale asiatica.




I.C.: Quando fu l'ultima festa di Villa Massoni e perché a un certo punto non si fece più?

F.P.: Nel novembre del 1989 si ha la cosiddetta svolta della Bolognina, dove Occhetto avvia quella riflessione che portò nel febbraio del 1991 allo scioglimento del PCI. Dunque l’ultima Festa de L’Unità a villa Massoni di tutto il PCI fu quella della fine estate del 1989. L’anno successiva il PCI era ancora un unico partito, tuttavia dopo il XIX congresso (Bologna 7 – 11 marzo 1990, Ndr) la sua divisione era molto profonda. A Massa-Carrara vinse il No allo scioglimento e la Festa de l’Unità del 1990 fu organizzata in malo modo e con minori dimensioni rispetto al passato e il clima non era certo quello spensierato e festoso degli anni precedenti. Al XX congresso (Rimini 31 gennaio – 3 febbraio 1991, Ndr) il PCI decise di sciogliersi e dare vita al PDS. Nel contempo nacque il Partito della Rifondazione Comunista. In quell’anno si tennero due distinte feste, quella di Liberazione fatta dai compagni di Rifondazione e quella successiva de L’Unità fatta dal PDS. Ovviamente le due Feste non erano che l’ombra sbiadita di quelle degli anni precedenti.


I.C.: Che cosa vorresti fare di questo archivio fotografico che hai conservato per tanti anni?

F.P.: Ci piacerebbe fare un libro con molte foto, un libro che racconti quello che la Festa ha rappresentato per la città e per tutti i compagni e le compagne che con il loro lavoro e sacrificio hanno contribuito a un evento di cui è rimasta traccia indelebile nella memoria collettiva. E poi anche per ricordare la storia di uomini e donne che dedicarono parte della loro vita a fare del PCI il più grande partito comunista d’occidente.




Villa Massoni




IVAN CAROZZI
è nato a Massa e vive a Milano. È stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di "Figli delle stelle" (Baldini e Castoldi, 2014), "Macao" (Feltrinelli digital, 2012), "Teneri violenti" (Einaudi Stile Libero, 2016) e "L'età della tigre" (Il Saggiatore, 2019).

Courtesy fotografica: FRANCO PESELLI

BAR EQUADOR
è un luogo fittizio che prende ispirazione da un posto reale. Il vero Bar Ecuador, dove il vino costa un euro e si organizzano mostre da oltre venti anni, si trova a Massa, al confine di Borgo del Ponte, quartiere storicamente al centro delle attività di Cantieri Aperti. Attraverso la creazione di un doppio, che resta attaccato al reale come un gemello siamese, s’intende descrivere lo statuto dei luoghi del presente, divisi tra reale e virtuale, tra desiderio e fallibilità. Bar Equador è il luogo che ospita le persone che vivranno il festival attraverso la rete, ma è anche una possibile istituzione temporanea che rianima con nuove mostre una galleria d'arte contemporanea che a Massa aveva aperto ed è oggi inattiva (ex galleria Margini).

All’interno di Bar Equador si sviluppano le mostre Bar Equador. A Local History for a Global Medium (con opere di Valentina D’Amaro, Giorgio Giuseppini, Nella Marchesini, Beatrice Meoni. Giulio Saverio Rossi, Pier Luigi Zonder Mosti) e Rimpiattino, prima personale di Giacomo Montanelli.

Da fine ottobre, Bar Equador è diventato un sito internet, in cui sono raccolte riletture digitalizzate delle esposizioni ed è ospitato il progetto di Portfolio Review internazionale con i curatori Beatriz Escudero e Cripta 747, e gli artisti selezionati da spazi del contemporaneo attivi in Toscana: Salvator Rosa da Carico Massimo, Virginia Zanetti da Estuario project space, Michelangelo Consani da Museo d’Inverno, Stefano De Ponti da Nub project space, Marcello Spada da Toast project space e Alice Ronchi da Lottozero. A loro si aggiungono i tre nomi di Cantieri Aperti: Silvia Hell, Matteo Fato e Ruth Beraha.

↗ Instagram
↗ Facebook
↗ Sito Cantieriaperti.com

Fotografie mostre:
Carlo Favero
CANTIERI APERTI
è il festival annuale di teatro, musica e arte visiva ideato dalla Compagnia Teatrale Semi Cattivi per il quartiere di Borgo del Ponte di Massa con la collaborazione degli abitanti del borgo.

Nel contesto della settima edizione del festival Cantieri Aperti si sviluppa il progetto curatoriale Bar Equador, a cura di Alessandra Franetovich, Giulio Saverio Rossi, Gabriele Tosi.

Cantieri Aperti / The Empty Museum, edizione 2020
Ideato e diretto da: Franco Rossi, Giulio Saverio Rossi
Direzione scientifica: Alessandra Franetovich
Semi Cattivi: Franco Rossi, Stefania Gatti